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Chi non desidera provare un senso di pura felicità e gioia nella propria vita? Molti di noi dedicano una grande quantità di tempo, risorse ed energie per ottenere una vita soddisfacente che ci dia un senso di appagamento. Nonostante i nostri sforzi, facciamo ancora fatica a raggiungere questo obiettivo, soprattutto a lungo termine. E se il segreto della felicità consistesse nell'accettare di non piacere, nell'allontanarsi dal compiacere gli altri e nel seguire la propria strada con intenzione e chiarezza? Questa è una delle idee che propone il libro “Il coraggio di non piacere”, degli autori giapponesi Ichiro Kishimi e Fumitake Koga.

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Come raggiungere la vera felicità? La domanda su cui molti di noi si struggono. E se la vera felicità si riducesse a un semplice cambio di mentalità su come gli altri ci vedono?

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Questo è l'argomento che gli autori giapponesi Ichiro Kishimi e Fumitake Koga propongono nel loro best-seller “Il coraggio di non piacere”.

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Il libro è scritto nel formato di un'ipotetica conversazione tra un giovane, che pone domande filosofiche critiche, e un filosofo.

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Il libro è incentrato sulle teorie dello psicoterapeuta austriaco Alfred Alder e molti ritengono che il filosofo sia, per certi versi, un Alder romanzato.

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L'elemento chiave del libro e della teoria di Alder è che la felicità risiede nella libertà di non essere apprezzati dagli altri. Questo non significa perseguire attivamente l'antipatia, ma piuttosto accettare che, quando si “vive in libertà”, non tutti saranno contenti delle nostre azioni.

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Cosa significa questo in senso pratico? Gli autori del libro sostengono che molti di noi vivono cercando di compiacere le persone della propria vita. Di conseguenza, possiamo mettere in atto comportamenti o scelte che cercano di emulare ciò che gli altri pensano che dovremmo fare, piuttosto che ciò che vogliamo effettivamente fare.

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Cambiare questa situazione non significa comportarsi in modo impulsivo e ignorare i sentimenti degli altri. Si tratta di non fare scelte per paura di non essere apprezzati, perché questa è l'essenza di una vita vissuta nella costrizione, anziché nella libertà.

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Secondo gli autori, infatti, l'antipatia è la prova che “si sta esercitando la propria libertà e si sta vivendo in libertà, segno che si sta vivendo in conformità con i propri principi”.

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Per gli autori, l'antipatia è ineluttabile. Se essere apprezzati è il centro del vostro processo decisionale, proverete costantemente un senso di frustrazione. È come vivere su una ruota per criceti, alla continua ricerca di approvazione.

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Cosa propone il libro? Vivere la vita alle proprie condizioni, indipendentemente dal passato o dalle ansie per il futuro. Questo può essere difficile per chi cerca l'approvazione degli altri o privilegia il riconoscimento altrui rispetto a scelte autentiche e in linea con i propri valori personali.

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Ciò significa prendere decisioni e vivere in un modo che tenga conto di ciò che pensano gli altri, rischiando di non essere apprezzati e non inseguendo l'approvazione, la convalida o il riconoscimento esterno.

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L'aspetto del riconoscimento è un elemento importante del libro. Molti di noi, a casa o nella vita professionale, cercano il riconoscimento. Sebbene sia un desiderio comune e non sia intrinsecamente “sbagliato” godere della sensazione di riconoscimento, è la continua rincorsa a causare infelicità.

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Gli autori sostengono che: “Desiderare così tanto di essere riconosciuti porterà a una vita in cui si seguono le aspettative di altre persone che vogliono che tu sia “questo tipo di persona”. In altre parole, si butta via chi si è veramente e si vive la vita degli altri”.

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Il libro sostiene che, invece di cercare il riconoscimento, dovremmo fare in modo che i nostri contributi al mondo siano utili, siano essi riconosciuti o meno. In questa prospettiva, il segreto della felicità è “la sensazione di contribuire”.

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Sentendoci soggettivamente utili agli altri o a una causa attraverso i nostri contributi, creiamo e perpetuiamo un senso di felicità che deriva da noi stessi, dalle nostre azioni e dai nostri desideri, senza dipendere dall'esterno.

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Un altro elemento importante del libro è l'accettazione di sé. Siete in grado di accettarvi così come siete? Lavorando sull'accettazione di sé, ci apriamo anche ad accettare gli altri così come sono.

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Questo sforzo significa che, nel riflettere sulla nostra vita, non possiamo enfatizzare troppo l'impatto delle esperienze che abbiamo vissuto. Questa è considerata una delle parti più controverse del libro, in quanto sostiene che il trauma non esiste realmente.

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Basandosi sulla psicologia adleriana, pur non negando l'esistenza del trauma in senso lato, sottolinea come non sia l'esperienza in sé a essere traumatica, ma il modo in cui diamo significato a tali esperienze.

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Da questa prospettiva, il modo in cui reagiamo alle nostre esperienze traumatiche finisce per determinare il nostro modo di vivere. Creiamo obiettivi e attribuiamo emozioni in base alle nostre esperienze traumatiche. È questo comportamento che enfatizza e dà peso al trauma vissuto.

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Secondo il libro, è proprio questo modo di vivere, di plasmare le nostre vite in base al trauma che abbiamo vissuto, che dobbiamo affrontare e cambiare.

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Un altro punto discusso nel libro è il modo in cui ci sentiamo con noi stessi. Nel secondo capitolo del libro, il giovane esprime avversione per se stesso. Anche in questo caso, si sottolinea l'importanza dell'accettazione di sé.

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Questo è un problema con cui molti di noi lottano. Diamo peso solo ai nostri fallimenti o errori, spinti dall'autocritica e dal giudizio. Quando lo facciamo, creiamo narrazioni che riflettono il modo in cui ci sentiamo con noi stessi.

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La premessa della teoria del libro è che non possiamo vivere per soddisfare le aspettative degli altri. Spesso siamo consumati dal desiderio di essere visti in un certo modo agli occhi degli altri, e quindi di noi stessi.

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Il libro propone di cambiare la nostra vita riconoscendo “la separazione dei compiti”. Secondo la psicologia adleriana, dobbiamo chiederci: “Di chi è questo compito?”. Quando riconosciamo ciò di cui siamo responsabili, possiamo riconoscere la lezione più importante del libro: Che siete voi e solo voi a poter influenzare il cambiamento che cercate nella vostra vita.

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Riconoscendo ciò che controlliamo e ciò che non controlliamo, in altre parole, ciò di cui siamo responsabili (ad esempio, la responsabilità sulle nostre azioni) e ciò che non lo siamo (ad esempio, ciò che gli altri pensano delle nostre azioni), possiamo trovare un vero senso di libertà.

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Le relazioni interpersonali, compresa la relazione con noi stessi, dovrebbero essere fondate su un senso di comunità. Questo è ciò che si intende con la discussione precedente sull'alimentazione della felicità attraverso i nostri contributi al mondo, senza inseguire il riconoscimento o la convalida, ma pensando al di là di noi stessi e comprendendo il nostro ruolo nel mondo.

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Il coraggio di non essere apprezzati si fonda su un messaggio chiave della psicologia adleriana: “Non si deve lodare e non si deve rimproverare”. Quando lodiamo gli altri, creiamo una gerarchia di favore, in cui cerchiamo di dare lodi e di riceverle come forza motrice delle nostre azioni.

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Non offrendo lodi o critiche, ci spingiamo verso la lezione più importante che il libro cerca di comunicare, ovvero che siamo responsabili solo di noi stessi. Il modo in cui vediamo e ci confrontiamo con il mondo dipende da noi.

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In questo senso, nessuno è migliore o peggiore di noi. In questa prospettiva non esiste una gerarchia. Siamo tutti uguali e, quindi, ugualmente responsabili di noi stessi, qui e ora. Eliminando il senso di competizione e ignorando il giudizio degli altri, ci comportiamo con coraggio. Ed è proprio questo, secondo gli autori, il più grande ostacolo alla nostra felicità: il coraggio.

Fonti: (The Courage to be Disliked) (Nate Kadlac) (CNBC)

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